"E' vero che molti dei manifestanti invocano il collasso del regime, ma come hanno intenzione di rovesciarlo?"
Aref Dalila é uno dei massimi esponenti dell'opposizione siriana: scrittore ed economista, detenuto per circa 8 anni, in seguito alla sua partecipazione alla Primavera di Damasco, il periodo di fermento politico successivo all'ascesa al potere di Bashar al-Assad (2000). Fa oggi parte di quel gruppo di intellettuali disposti ad intraprendere un dialogo con il regime, finalizzato ad una transizione democratica, a patto che cessi la violenza contro i manifestanti.
Lei si é rifiutato di partecipare sia al cosiddetto Dialogo Nazionale avviato dal regime il 10 Luglio, e peraltro boicottatto dalla maggioranza dell'opposizione, sia all'incontro organizzata il 27 Giugno presso l'Hotel Semiramis di Damasco da alcuni dei principali intellettuali dissidenti siriani (Michel Kilo, Luay Hussein, etc.). Mi spiegherebbe le motivazioni di questi suoi due rifiuti?
All'incontro del 27 Giugno non ho partecipato perché non ritenevo libero il contesto organizzativo, dato che solamente ai media governativi é stato permesso di coprire l'incontro e, naturalmente, hanno fornito un'immagine negativa dei partecipanti. Riguardo invece alla seduta d'apertura del Dialogo Nazionale, ritengo che il governo debba prima riconoscere il diritto dell'opposizione ad esprimersi liberamente. In secondo luogo, le commissioni istituite per discutere le nuove leggi [NdR: pluralismo politico, libertà d'espressione e dei media, legge elettorale, etc.] sono formate esclusivamente da esponenti del governo. Chi ci garantisce che manterranno fede alle loro promesse?
Come pensate di conciliare la vostra idea di 'trasformazione del regime' con le rivendicazioni di quei manifestanti, e non sono pochi, che ormai insistono sul rovesciamento del regime, senza nessuna possibilità di dialogo?
E' vero che molti dei manifestanti invocano il collasso del regime, ma come hanno intenzione di rovesciarlo? Questo non sono in grado di spiegarlo. In questo momento non ritengo vi siano alternative ad una trasformazione democratica graduale. Sia chiaro che non mi riferisco al genere di transizione voluta dal Governo: non vogliamo aspettare nemmeno un anno, si deve parlare in termini di mesi.
Uno dei timori principali riguardo alla situazione attuale é il degenero in un conflitto settario. Soprattutto, parlando con alcuni manifestanti sunniti, si percepisce un risentimento pericoloso verso la setta alawita, a cui appartiene la famiglia Assad. Anche in quanto lei stesso alawita, qual'é la sua percezione del rischio di un conflitto settario?
Questo aspetto é un risultato del regime che ha governato il paese in tutti questi anni. Con una liberalizzazione della vita politica, questo genere di problemi scomparirebbe, anche a livello psicologico, poiché il settarianesimo non ha mai fatto parte della storia siriana.
Lo scorso Aprile, lei ha partecipato ad uno dei rari incontri di consultazione concessi dal regime all'opposizione ed ha avuto l'occasione di parlare con Buthaina Shabaan, il consigliere politico e mediatico del Presidente. Ritiene ci siano delle differenze tra le varie personalità del regime, un fronte del dialogo ed uno dedito esclusivamente alla repressione?
Sicuramente ci sono delle differenze, ma il nucleo centrale del regime é compatto. Intendo quell'ampio circolo di persone, e non solamente la famiglia del Presidente, che traggono benefici dall'attuale sistema di governo. Il denominatore comune di questo circolo é la corruzione, ci sono affiliati al regime in Siria così come all'estero di diverse estrazioni sociali e appartenenze settarie. Questo é un altro dei motivi per cui mi sento di escludere l'ipotesi di un conflitto settario. Il problema é che questo circolo rimane comunque ristretto, se paragonato alla maggioranza dei Siriani.
Che genere di pressioni si aspetta dalla comunitá internazionale? Ritiene debba essere fatto di più o al contrario preferisce che l'interferenza rimanga limitata?
Finché non stiamo parlando di un appoggio militare all'opposizione, sono favorevole al supporto internazionale, in quanto sostegno alla democrazia. Per quanto riguarda invece un eventuale embargo, sortirebbe un effetto negativo, soprattutto per la sua ripercussione sul popolo. In generale le sanzioni non avrebbero un effetto determinante sull'economia siriana, poiché il regime é in grado di sopravvivere facendo affidamento sulle risorse interne almeno per altri 6 mesi.
All'interno dell'opposizione, c'é chi confida nel 'soffocamento' economico, in quanto fattore determinante nel fomentare il dissenso a lungo termine. In quanto economista, qual'é la sua opinione sullo stato attuale della crisi economica?
E' innegabile che siamo nel mezzo di una grave crisi economica, le cui conseguenze vengono pagate in primis dagli impiegati e dalle classi popolari. Per quanto riguarda le classi più benestanti, anch'esse stanno patendo l'assenza di investimenti e la crisi del settore turistico. Una simile situazione ingrosserà le file dei manifestanti molto rapidamente, entro pochi mesi.
Come si colloca la rivoluzione siriana in relazione alle dinamiche regionali, quali effetti hanno sortito l'esperienza tunisina e quella egiziana?
La Tunisia e l'Egitto ci hanno fornito l'esempio, non eravamo preparati ad una mobilitazione di questa portata, ma allo stesso tempo abbiamo imparato dai loro errori: in questi due paesi ci si era illusi di porre fine ai problemi con la deposizione dei rispettivi presidenti, ma la rivoluzione non é ancora finita. Allo stesso modo in Siria la rivoluzione non terminerebbe con la cacciata di Bashar al-Assad.
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